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Uno potrebbe pensare che At the Crossroads of Infinity dei californiani Draghkar sia il solito heavy black che mischia le melodie stradaiole britanniche alle nere atmosfere del metal scandinavo. Tecnicamente potremmo vederlo così dal lato del risultato, ma come ci sono arrivati in realtà meriterebbe un approfondimento diverso.
Ad esempio l'influenza death metal è innegabile, soprattutto nella conclusiva titletrack, che parte quasi in death doom primi nineties per concludere in un bassone solista e zozzo tipico del genere. Discorso simile per Seeking Oblivion che però al death doom più cavernoso aggiunge uno shredding di pura estrazione old school metal.
Così come vecchia scuola è l'ascendenza della cavalcata demoniaca di Beyond Despair, the Dawn of Rebirth, o lo speed marcio e mortifero di Pursued by Black Forms, che chiude il cerchio con il metal estremo con i suoi rallentamenti armonizzati in chiave di malignità. In un certo senso, i Draghkar operano il ritorno alle origini, ma più che partire dalla seconda ondata del black metal il loro percorso inizia dal marasma di metal estremo dei demotape a cavallo tra anni '80 e '90, dove il confine tra death, doom, black e persino thrash era relativamente labile.
Il problema principale forse riguarda il fatto che nel tornare a quel caos primevo i brani partono bene e creano un bel mood, ma falliscono nel rendersi davvero eccellenti, per quanto per l'appunto belli. Una decisione maggiore nello scegliere la direzione (e una perizia esecutiva leggermente migliore) potrebbero trasformarli in un grandissimo gruppo, speriamo.
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